Il dolore è definito come un disturbo sensoriale sgradevole dovuto a un danno del tessuto. La sua percezione è il risultato dei segnali inviati dal corpo al cervello per avvertirlo di un pericolo che minaccia l’integrità fisica; è il campanello d’allarme che ci aiuta a prevenire ulteriori danni o ferite. Il dolore può manifestarsi in ogni parte del corpo e il corpo reagisce al dolore attraverso una linea di difesa chiamata ‟soglia del dolore” elemento importante che ci permette di reagire di conseguenza.
Siamo portati a pensare che l’intensità della risposta dolorosa sia in diretta correlazione con il danno subito.
Secondo quest’ottica, più grave è il danno più è forte il dolore. La pratica invece ci dimostra che il dolore è soggettivo e non sempre corrisponde alla gravità del danno. Si può accusare un dolore atroce di fronte a una lesione minima, perfino inesistente, o, viceversa, convivere con lesioni gravi senza accusare particolari dolori.
La tolleranza al dolore varia a secondo dell’umore, la personalità e le circostanze. Per esempio un atleta, se leso durante una gara, tenderà a non avvertire subito il dolore poiché il suo cervello sarà concentrato a vincere. Percepirà il dolore in un secondo tempo, a fine gara.
In alcuni casi l’organismo perde la percezione del dolore, incorrendo in problemi maggiori. Per esempio, forme avanzate di diabete possono alterare la percezione del dolore alle gambe. Di conseguenza, il diabetico può sviluppare infezioni e danni alle articolazioni senza esserne subito cosciente.
Il dolore può essere acuto, immediato e di breve durata, o cronico, con una durata minima di circa tre mesi. Il dolore cronico porta con sé effetti collaterali associati a pressione del sangue alta e un senso di malessere. Le persone affette da dolore cronico presentano spesso sintomi depressivi, espressi in modalità diverse e non sempre facilmente identificabili; al posto del pianto e della tristezza possono manifestare rabbia o isolarsi, fenomeni suscettibili di passare inosservati o essere attribuiti ad altre cause. Il dolore cronico ha anche un effetto negativo sulla salute; riduce i livelli di attività e abbassa le difese immunitarie, rendendoci maggiormente suscettibili a infezioni. Le persone con dolore cronico fanno fatica a mantenere un atteggiamento positivo alla vita, a mantenere una vita socialmente attiva, a praticare dello sport. Così si instaura un circolo vizioso che, privando il soggetto degli effetti positivi dell’attività e della socialità, gli causa più dolore e dipendenza dal dolore stesso.
Il dolore acuto esprime così una valenza difensiva mentre il dolore cronico una distruttiva.
Gestione del dolore?
Nel dolore sussistono l’esperienza biologica chiamata ‟nocicezione”, che fa parte della reazione protettiva del sistema nervoso, e i fattori di stress che intervengono sull’esperienza dolorosa. Per esempio: la stimolazione ripetuta al dolore può cambiare la struttura delle fibre e delle cellule nervose, il cosiddetto ‟rimodellamento” rendendole maggiormente attive. Di conseguenza, il dolore può derivare da una stimolazione che in condizioni normali potrebbe non essere dolorosa, oppure lo stimolo doloroso può essere avvertito come più intenso. Questo effetto è chiamato ‟sensibilizzazione alla nocicezione”. Nel processo di sensibilizzazione è come se il cervello decidesse che le fibre nervose debbano essere maggiormente sensibili al fine di proteggere il corpo da possibili minacce presenti o costituite da ricordi. In effetti, abbiamo una vera e propria memoria che partecipa alla cronicizzazione del dolore, il quale persiste anche dopo la scomparsa dell’infiammazione o del danno che lo ha provocato. In alcuni casi i nervi si abituano a mandare segnali in maniera più efficiente, amplificando il messaggio. Queste amplificazioni partecipano alla cronicizzazione del dolore. Quando il sistema nervoso è indotto a un perenne stato di amplificazione, e si trova in una situazione di massima allerta, il dolore può durare oltre il danno fisico. Si crea quindi un circolo vizioso per il quale più dura il dolore più è difficile tornare indietro. I fattori psicologici, i ricordi, entrano così in gioco nella percezione del dolore sia potenzialmente, influendo sulla nocicezione (esperienza biologica), sia direttamente, influenzando il cervello (esperienza soggettiva). Il dolore, cronicizzandosi, diventa indipendente dalla causa nocicettiva, trasformandosi in una malattia autonoma.
Questo è importante per capire quanto la realtà è influenzata dalle emozioni, dai ricordi e da come processiamo le esperienze vissute dal nostro organismo. Il dolore, nei disturbi dell’ arto fantasma ne è una testimonianza.
L’approccio EMDR Eye Movement Desensitisation and Reprocessing, in quanto terapia neurobiologica, ci mostra come la parte della memoria legata all’arto leso, somatica e visiva, rimasta bloccata al momento dell’evento traumatico, porta la persona a percepire il dolore ancora attivo come se l’arto fosse presente. Questo approccio, lavorando sui ricordi bloccati (disfunzionali) e ripristinando l’ attivazione funzionale dell’informazione, è un’approccio promettente per la cura del dolore nei casi di amputazione.